Insieme ai diffusori, gli amplificatori di potenza rappresentano il cuore di un impianto PA: sono loro a pilotare i diffusori, determinando in larga parte la qualità del suono e in generale le prestazioni dell’impianto audio. La scelta dell’amplificatore giusto dipende da molteplici fattori, tra cui il numero di canali, la potenza erogata, la classe di funzionamento (e quindi l’efficienza), la qualità costruttiva e la versatilità d’impiego. Audio Effetti propone un’ampia gamma di finali di potenza progettati per affrontare anche le condizioni d’uso più gravose, come quelle tipiche degli eventi itineranti.
Se è vero che, dal punto di vista prettamente tecnico, un amplificatore è una “scatola nera” in cui entra un segnale audio di bassa potenza e ne esce uno ad alta potenza (naturalmente a discapito di un consumo energetico…), appare sin da ora evidente quante diverse tipologie di amplificatori possa offrire il mercato del pro audio.
L’immagine seguente mostra lo schema a blocchi semplificato di un amplificatore integrato. Lo stadio indicato come Small Signal Amplifier è in realtà il preamplificatore, mentre in questo articolo ci occuperemo soltanto del Power Amplifier, cioè del finale di potenza.
Gli amplificatori di potenza sono tipicamente a 2 (esempio elokance HA 1600) o 4 canali (Definitive Audio QUAD 150D), corrispondenti ad altrettante uscite a bassa impedenza.
Alcuni modelli a 2 / 4 canali possono essere utilizzati in modalità a ponte (bridged mode), trasformandosi in amplificatori mono / stereo in grado di erogare il doppio della potenza, caratteristica spesso utile quando si devono collegare, ad esempio, ai subwoofer.
Gli amplificatori sono modulari, quindi replicano lo stesso canale per tutti quelli di cui dispongono, salvo il fatto che possono essere utilizzati stadi di amplificazione di potenze diverse secondo le esigenze.
Tipico layout di un finale stereo, visto dall’alto. Le griglie a sinistra e a destra indicano i dissipatori di calore termicamente connessi ai transistor / MOSFET di potenza.
In genere, gli amplificatori più semplici ed economici hanno un pannello frontale essenziale, con la sola regolazione del guadagno per i vari canali e una serie di LED per indicare, ad esempio, il sovraccarico o la presenza di segnale.
Un esempio? Audiophony Ti300 da 2 x 150 WRMS su 4 ohm.
Siccome nei concerti è spesso necessario utilizzare numerosi diffusori, basti solo pensare a quanti sono i moduli dei Line Array o i subwoofer, occorrerà di conseguenza utilizzare parecchi amplificatori, entro i loro limiti di erogazione della potenza, che è sempre in relazione all’impedenza di carico.
Supponiamo infatti di avere un finale stereo: ogni volta che colleghiamo altri due diffusori identici in parallelo sulle uscite, il carico visto dall’amplificatore si dimezza, passando ad esempio da 8 a 4 ohm. In corrispondenza, la potenza di un amplificatore ideale dovrebbe raddoppiare, in realtà è sempre meno del doppio per ragioni tecniche legate ai limiti dell’alimentatore.
Continuando ad aggiungere diffusori in parallelo, l’impedenza di carico si abbassa sempre di più, arrivando a valori che possono approssimarsi al corto circuito, con le potenze che in corrispondenza continuano ad aumentare. In queste condizioni, l’amplificatore non può continuare ed erogare potenza all’infinito e arriva ad un punto tale in cui intervengono le protezioni. Per questa ragione, se si prevede di collegare molti diffusori alle uscite, si consiglia di scegliere, quando possibile, diffusori ad alta impedenza, per esempio 16 ohm, oppure banalmente utilizzare amplificatori multi-canale, o entrambe le cose.
Questo è il motivo principale che ci porta a utilizzare, nelle installazioni (ma non in questi casi…), impianti di diffusione sonora distribuiti, quelli a 100 V per intenderci.
La potenza in sé non è un dato significativo se non la si mette in relazione all’efficienza dei diffusori utilizzati, cioè la pressione sonora SPL che sono in grado di emettere con 1 W ad 1 metro di distanza. Diffusori più efficienti richiedono minor potenza, e viceversa. Ricordiamoci la regola che al diminuire di 3 dB di efficienza, la potenza necessaria da parte degli amplificatori per ottenere lo stesso livello di pressione sonora raddoppia!
Una delle caratteristiche più comuni dichiarate dai costruttori è la cosiddetta classe di funzionamento, che descrive il modo in cui i transistor impiegati nello stadio finale gestiscono il segnale audio per amplificarlo. Senza addentrarci in discorsi tecnici, diremo che gli amplificatori in Classe-A sono quelli in grado di garantire le prestazioni migliori e la più bassa distorsione, ma sono utilizzati quasi esclusivamente in ambito hi-end poiché la loro efficienza è bassa, la generazione di calore molto elevata e il costo notevole. Esistono poi quelli in Classe AB, B, H ecc., ma quella che a noi interessa maggiormente, in ambito professionale, è la Classe-D.
Un amplificatore in Classe-D viene anche definito amplificatore switching.
In estrema sintesi, trasforma un segnale d’ingresso analogico in un segnale PWM (modulazione di larghezza d’impulso), cioè in una sequenza d’impulsi corrispondente all’ampiezza e alla frequenza del segnale di ingresso. Il segnale PWM viene quindi amplificato e, prima di essere trasferito ai diffusori, assoggettato ad un filtraggio passa-basso per ripristinare la forma d’onda audio originaria e per eliminare i disturbi ultrasonici spuri.
Vista interna dell’amplificatore JB Systems AMP200.4 in Classe-D.
Il maggiore vantaggio dell’amplificatore in Classe-D è la sua alta efficienza, pari a circa il 90%, valore di gran lunga superiore a quello di un amplificatore in classe AB, che ha un’efficienza tra il 50 e il 70%. In pratica, riesce ad usare quasi tutta l’energia proveniente dalla rete elettrica per amplificare il segnale. Per questo motivo, l’amplificatore in Classe-D ha trovato terreno fertile in ambito professionale, in quanto l’elevata efficienza permette di ottenere alte potenze, facilmente migliaia di watt per canale, con dimensioni fisiche ridotte e la possibilità di eliminare, in alcuni casi, i dissipatori di calore e anche le ventole di raffreddamento! Ormai tutti gli amplificatori di potenza professionali, salvo qualche eccezione, fanno uso di circuiti in Classe-D.
Gli apparecchi più sofisticati e costosi integrano sempre più spesso un DSP, cioè un processore di segnale digitale. Il DSP (nell’immagine indicato con il blocco chiamato Processor) permette di effettuare ogni sorta di elaborazione sul segnale audio in ingresso: equalizzazione, compressione, espansione, limitazione, filtraggio, ritardo ecc. Affinché ciò sia possibile, a monte il segnale d’ingresso deve essere convertito da analogico a digitale mediante, appunto, un convertitore A/D.
Grazie al DSP, è possibile salvare nelle locazioni di memoria interne le librerie dei diffusori in modo tale che si possa impostare di conseguenza il preset corretto per ottimizzarne il funzionamento con la massima precisione, senza la necessità di effettuare onerose (in termini di tempo) calibrazioni ad hoc. I vantaggi di utilizzare un DSP all’interno di un amplificatore sono numerosi: linearizzazione della risposta in frequenza, aumento della dinamica, miglior rapporto segnale / rumore ma soprattutto il poter fruire di regolazioni più precise e più ampie, in particolare quando occorre gestire in maniera separata subwoofer e satelliti.
Un esempio di amplificatore finale in Classe-D con DSP e filtri IIR / FIR da 4 x 3000 WRMS su 4 ohm è Harmonic Design QT12ETH.
L'hd MultiDSP di questo finale combina filtri IIR e FIR per creare curve di fase perfettamente linearizzate e risposte all'impulso notevolmente migliorate per un'esperienza sonora più naturale, trasparente e realistica.
Sul pannello posteriore degli amplificatori si trovano sia i connettori per l’ingresso del segnale a livello linea che per le uscite verso i diffusori. Quelli d’ingresso possono andare dagli RCA sbilanciati, di derivazione consumer, ai molto più professionali, e sicuri, XLR Cannon femmina o ibridi XLR / jack bilanciati, chiamati più frequentemente Combo. Per le uscite, invece, di solito si usano gli speakON e più raramente i connettori a vite con inserimento di spine a banana.
Un singolo connettore di potenza SpeakOn porta sino a 2 canali ed avendo un sistema di fissaggio a baionetta risulta molto pratico quando occorre procedere velocemente e con una certa sicurezza: si pensi agli eventi live più importanti dove magari occorre connettere decine, se non centinaia di amplificatori ad altrettanti moduli di un line array e relativi subwoofer.
Sempre più frequentemente troviamo i connettori di rete RJ45, che servono per il controllo remoto nei modelli con DSP o ricevono il segnale d’ingresso dalla rete audio Dante. Per esempio, il già citato Harmonic Design QT12ETH, come il fratello minore QT8ETH da 4 x 2000 WRMS su 4 ohm, dispone infatti di una porta Ethernet utilizzata per connettersi (anche tramite Wi-Fi mediante access point) alla suite software proprietaria hd LevelZ per la pianificazione completa del sistema, la simulazione, la gestione e la messa a punto del sistema di tutti i diffusori Harmonic Design, dal sistema attivo 2.1 ai grandi sistemi di sound reinforcement. Inoltre, oltre ai 4 ingressi analogici, dispone di ingressi audio digitali AES3 e Dante.
Infine, gli amplificatori di potenza sono dotati di diversi sistemi di protezione per garantire un funzionamento sicuro e affidabile. Tra i più importanti c’è la protezione termica, che interviene quando la temperatura interna supera un certo limite, evitando danni ai componenti. Altrettanto fondamentale è la protezione contro i cortocircuiti, che impedisce che un guasto ai cavi o ai diffusori possa compromettere lo stadio finale dell’amplificatore.
Un ruolo cruciale è svolto anche dalla protezione contro la presenza di corrente continua in uscita: se a causa di un guasto interno si genera una corrente continua, questa può danneggiare gravemente i diffusori. Per questo motivo, molti amplificatori disconnettono automaticamente il carico in tali situazioni. Inoltre, sistemi di protezione da sovratensione e sovracorrente proteggono l’elettronica da picchi anomali, mentre circuiti di soft start evitano picchi di corrente all’accensione.
Un finale come il Synq PE-2400, ad esempio, vanta un limitatore automatico di corrente d’uscita, protezioni da cortocircuito, guasti in corrente continua, alte temperature, sovraccarico.
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